Candace, Venezia, Rossetti, 1740

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 CANDACE
 
 
    Dramma per musica da rappresentarsi nel famosissimo teatro Grimani di San Giovanni Grisostomo l’autunno dell’anno 1740, dedicato a sua eccellenza il principe Andrea Doria, principe di Melfi, marchese di Torriglia, conte di Loano e sue pertinenze, grande di Spagna di prima classe, eccetera, eccetera, eccetera eccetera.
    Venezia, per Marino Rossetti, con licenza de’ superiori.
 
 
 Eccellenza,
    dovendo trascegliere il nome d’un gran personaggio perché possa risplendere in fronte di questo componimento, che deve rappresentarsi nel maggior teatro di quest’inclita dominante, io vi fo comparire il glorioso nome di vostra eccellenza, come quello che così è rinomato in Italia, anzi per l’Europa tutta riverito e distinto. I principi ricevon tributi, sebbene da lontane parti e da ignote mani gli vengono presentati. La vostra grandezza e la nobiltà vostra, così famosa ed antica, non ha d’uopo di elogii, mentre basta il sol raccordare che voi dirittamente discendete dal gran principe Andrea Doria assicuratore della patria libertà, il sì celebre generale di Carlo quinto e sostegno il maggiore della sua gloria, come in tante istorie e massime nel libro della sua vita vien celebrato, senza che numeri ancora l’infiniti eroi successori. Quindi è che il nobilissimo sangue vostro da per tutto egli reca ammirazione e rispetto. Vostra eccellenza è grande per nascita, grande per l’operazioni e grande perché tale vi rende il monarca d’Iberia; per la qual cosa a ragione voi siete d’invidia a’ presenti eroi, come lo sarete a’ futuri, rimirandosi con stupore nella vostra persona il compendio di clamidi, porpore, dominii, ricchezze e sopra tutto di gloriose e reali doti ch’adornano l’animo clementissimo vostro. Accetti dunque vostra eccellenza questa umilissima offerta con la natural clemenza del vostro animo reale. E se non ho il merito d’un attual vostro servitore, vaglia almeno a rendermi tale il desiderio d’esserlo e prostrato mi do l’onore di sottoscrivermi di vostra eccellenza devotissimo, obligatissimo, umilissimo servitore.
 
    Domenico Lalli
 
 
 ARGOMENTO
 
    Avendo Amasi ammazzato Aprio suo re e fattosi tiranno d’Egitto, spedì Tilame perché uccidesse il bambino Evergete, unico figlio del morto Aprio, il quale dalla regina Candace con presta fuga si procurava far salvo; ma giunta questa in luogo dove Agatoclea, sua confidente, allevava il bambino Lagide, figlio del tiranno Amasi, assieme con il proprio figliuolo Aulete, entrambi in fasce, e ritrovandola per improviso accidente già morta, si vide rimanere nelle proprie mani tutti e tre li sudetti bambini, cioè Evergete suo figlio, Lagide figliuolo d’Amasi e Aulete figlio della morta Agatoclea. Sentendo in questo mentre che s’avvicinava Tilame per uccidere Evergete e far prigioniera essa medesima per ordine del tiranno, pensò d’assicurare la salvezza del proprio figlio con qualche inganno, quando non avesse potuto con le sue lagrime persuadere a lasciar vivo Evergete, e che il sudetto Tilame si fosse dimenticato di quella fede che sempre avea dimostrata costante per il suo morto signore; e ben riflettendo che lasciando in vita anche Lagide, questo poteva un giorno servire ai propri disegni, ripose Evergete nelle fascie di Lagide e ricoprì Lagide con le fascie di Evergete e stringendolo al seno con tutta la tenerezza di madre, quando giunse Tilame, gli fe’ credere per vero il suo ben concertato disegno; e tutto a fine che quando mai non avesse potuto ottenere dalla pietà di questo la vita di Evergete, ingannato almeno da questa finta apparenza, in cambio di Evergete avesse ammazzato Lagide. Tilame dunque ivi giunto e mosso dalle apparenti lagrime di Candace, la quale al vivo gli rappresentava l’orrore del suo delitto, in uccidere il figliuolo d’Aprio suo re, che, vinto questi dal suo rimorso, si lasciò persuadere ad uccidere, invece di Evergete, Aulete figlio d’Agatoclea, come eseguì, portando il cadavere dell’estinto bambino Aulete ad Amasi, fattoglielo credere il cadavere d’Evergete, conducendogli ancora il bambino creduto Lagide, figlio del tiranno, ma che, come si è detto, era il vero Evergete, il qual dell’ingannato Amasi fu allevato come suo figlio. Di questo cambiamento di Lagide in Evergete, e di Evergete in Lagide, non era consapevole né pure lo istesso Tilame, non avendo voluto scoprirglielo la cauta Candace, per essere sola padrona del gran segreto, e non fidatasi della fedeltà di Tilame, gli fe’ credere per sempre che quello che era appresso ad Amasi fosse veramente Lagide suo figlio e che l’altro, che viveva col nome di Aulete figlio di Agatoclea, fosse il vero Evergete. Quanto giovasse alla reina Candace e alla vendetta ch’ella maturava contro Amasi il lasciar vivo Lagide nonostante l’odio giustissimo, ch’ella aveva contro il sangue del tiranno, ed il cambiamento di questi due principi e la segreteza di questo inganno si scorgerà intieramente dalla lettura del drama.
    La scena è l’antica Menfi, oggi il gran Cairo.
 
 
 INTERLOCUTORI
 
 CANDACE vedova del morto Aprio e madre di Evergete creduto Lagide
 (la signora Francesca Bertoli)
 EVERGETE creduto Lagide
 (il signor Mariano Nicolini)
 AMASI tiranno d’Egitto
 (il signor Giambattista Pinaci)
 LAGIDE suo figlio creduto Aulete
 (il signor Giuliano Terdocci)
 NICETA amante di Lagide
 (la signora Lugrezia Venturini Mariani)
 TILAME primo ministro di Amasi ma fedele al sangue d’Aprio
 (la signora Angela Zanuchi)
 
    La musica è del signor Giovanni Battista Lampugnani milanese. Li balli sono d’invenzione e direzione del signor Gaetano Grossatesta.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Atto primo: atrio del real palagio; appartamenti; monte Parnaso per il ballo.
    Atto secondo: giardino; sala terrena.
    Atto terzo: antica fabrica in parte remota della città che communica con le carceri; anticamera; regia.
    Le scene sono d’invenzione e direzione del signor Antonio Jolli modonese, servitore di sua altezza serenissima di Modona. Il vestiario è del signor Nadal Canziani.